Bozza della manovra presentata al presidente Berlusconi il 24 agosto con le proposte del PRI. La manovra proposta verrà presentata e discussa in Direzione nazionale il 31 agosto ed è emendabile

RIFLESSIONI SU STABILIZZAZIONE FINANZIARIA E SVILUPPO

Premesse

  1. Questa nota contiene alcune riflessioni qualitative. Da quelle che saranno eventualmente condivise, potranno derivare emendamenti legislativi alla manovra del 13 agosto. Va detto subito però che il Pri ritiene che la manovra di agosto non debba essere affatto indebolita, anzi vada rafforzata. Perciò le considerazioni che seguono vanno intese come aggiuntive, prima che alternative. Lo slogan: "sì a modifiche ma a saldi invariati" è sostanzialmente sbagliato. I saldi è bene siano positivi.
  2. D’altra parte, i Repubblicani furono i primi nei mesi scorsi a indicare la necessità di una manovra correttiva e, nella dichiarazione in Parlamento con cui preannunciò il voto favorevole alla manovra di luglio scorso, il Segretario Nucara promise un’ulteriore sollecitazione affinché il governo recepisca le idee repubblicane. Quale migliore occasione di questa, ora che occorre fugare il timore che anche la seconda manovra non sia l’ultima?
  3. In questa nota si è attinto al patrimonio repubblicano alimentato negli ultimi anni, dalla conferenza programmatica al Capranica di Roma (febbraio 2006), a quella al Circolo della Stampa di Milano (ottobre 2007) sul manifesto liberaldemocratico, fino al congresso nazionale "a tesi" all’Ergife di Roma (febbraio 2011). In tutti questi eventi il Premier ha onorato il Pri con un proprio intervento.
  4. I Repubblicani privilegiano come sempre i contenuti. Ma se ciò potesse tornare utile per bilanciare nel merito le posizioni di un’altra forza della maggioranza di governo che è legittimamente meno liberale, o di altre forze dell’opposizione responsabile che sono meno laiche, e se l’equilibrio di tutto ciò potesse rafforzare il governo, i Repubblicani sarebbero felici.
  5. Diceva il manifesto del 2007: "La globalizzazione riduce i margini di manovra degli Stati nazionali; amplia, d’altro canto, gli spazi per le iniziative individuali e la cooperazione volontaria. Politiche corrette possono consentire all’Italia di inserirsi in questo circolo virtuoso, liberando le enormi energie, risorse e intelligenze del nostro paese. La pressione tributaria in Italia è un peso insopportabile. La difficoltà in alcune aree del Paese a mantenere condizioni minime di legalità e la diffusione dell’evasione fiscale opprimono gli individui e i settori più produttivi, onesti e innovativi. La riduzione della pressione fiscale deve essere comunque accompagnata da un’altrettanto drastica riduzione della spesa pubblica. L’invadenza dello Stato fa sì che, anche nella parte di attività economica lasciata nelle mani degli individui, essi si trovino con una capacità di spendere limitata dall’offerta coercitiva da parte dello Stato di educazione, sanità e pensioni".
  6. Nelle conclusioni a quella conferenza il segretario Nucara chiese al Premier di condividere due cose: il sostegno alla ricerca come potente motore del progresso; l’abolizione delle Province.
  7. Dicevano le tesi congressuali del 2011: "Le strade finora tentate per ridurre il debito pubblico si sono dimostrate vane. Ha fallito la politica del "tassa e spendi" del Governo Prodi. Ma non ha avuto successo nemmeno il tentativo di Tremonti di ricavare spazi per ridurre la pressione fiscale. Se l’Italia vuole conservare il ruolo che le spetta a livello internazionale, deve presentarsi con i conti a posto. Alcune proposte per abbattere il debito pubblico avanzate da Giuliano Amato e Pellegrino Capaldo sono basate su una tassazione straordinaria proporzionale ai patrimoni privati o alla rivalutazione dei patrimoni privati immobiliari. Altre proposte, come quella di Paolo Savona, ipotizzano il disinvestimento di beni demaniali. Nessuna punta a eliminare la causa che ha originato il debito pubblico italiano, l’eccessiva costosa presenza dello Stato nella società".
  8. Crisi dei debiti sovrani europei, varo statunitense di una politica deflazionistica, prevedibile riduzione della crescita cinese determineranno un rallentamento dello sviluppo mondiale e un ambiente deflativo che peserà sull’Italia più che su altri. La corsa del treno Italia verso il baratro è passata da 200 a 300 km orari, per parafrasare una frase di Ugo La Malfa, nel 1975 vicepresidente del consiglio del governo Moro – La Malfa. Due sono le aree d’intervento obbligatorie, rigidamente complementari: la riduzione sia del debito che del deficit; il sostegno della crescita. Sulla prima, si impone un ridimensionamento generale dell’intervento pubblico. La cosa difficile è che da un lato, per questo scopo, le azioni devono essere "pesanti", dall’altro devono essere studiate in modo da incidere il meno possibile sulla domanda e sull’occupazione. Poiché non ci sono più margini per soluzioni mediate, se ne esce solo se ci si trova liberi e d’accordo a rimettere tutto in discussione, sia sulle risorse finanziarie per investimenti pubblici sia sulla gestione corrente.
  9. Dopo tante cure con antibiotici, l’organismo è debilitato. È bene che si formino gli anticorpi, che il Paese venga sottoposto a una terapia di concorrenza. Ciò riguarda soprattutto il settore dei servizi. La Banca d’Italia ha stimato che la piena liberalizzazione di questo settore potrebbe far lievitare il Pil di addirittura 11 punti, la metà dei quali nei primissimi anni.
  10. Insomma, anche chi non è mai stato liberale, ora non ha alternative ed è pronto ad accettare politiche coerenti, ma senza ideologismi.

Politiche aggiuntive necessarie

  1. Province ed Enti locali. I Repubblicani rivendicano la loro storica proposta di abolire le province. Queste costano ogni anno circa 17 miliardi per mantenere strutture burocratiche e organi di rappresentanza. I loro compiti potrebbero essere svolti dagli uffici tecnici sotto il controllo delle Regioni o delle Unioni dei Comuni. Per non dire delle scandalose scelte operate nelle passate legislature, con l’opposizione dei soli repubblicani, per la realizzazione di diverse nuove mini-province. Dell’abolizione delle province e del superamento dei comuni polvere (inferiori ai 5000 abitanti) i Repubblicani fanno quindi un punto centrale della loro politica sul terreno istituzionale. Occorre prevedere unioni dei comuni contermini, uniche e polifunzionali, assorbendo anche, ove esistono, le comunità montane, e sopprimendo le diverse forme associative oggi esistenti: gli ATO, i bacini imbriferi montani, i consorzi esistenti che assolvono a funzioni tra loro differenziate.
  2. Pensioni. Vanno trovati spazi nell’area delle pensioni di anzianità alzando l’età di uscita dal mercato del lavoro. È doloroso, lo è per una quota crescente della popolazione, ma è un nodo ineludibile.
  3. Servizi pubblici locali. Su questo punto, così come sulla liberalizzazione del servizio postale, il Pri condivide la posizione dell’Istituto Bruno Leoni. Nel complesso, questo articolo della manovra rappresenta un buon passo avanti. Sarebbe però opportuno se, in sede di conversione, venissero rimosse le norme anti-concorrenza straniera, che ricordano la logica protezionistica filo-Parmalat, e fosse cancellata la possibilità di evitare l’affidamento tramite gara attraverso la selezione di un socio industriale. Inoltre, alla comunicazione all’Antitrust sulla scelta effettuata sembra preferibile una richiesta preventiva di parere vincolante, in maniera tale da evitare che la motivazione circa la scelta di sottrarre un settore alla liberalizzazione non sia tautologica e autoreferenziale.
  4. Servizi al Vaticano. Senza ideologismi laicistici che sarebbero fuor di luogo ma, in un momento di sacrifici così forti per tutti, il Pri insiste: nel sollecitare il governo a esigere il pagamento dell’Ici sugli immobili di proprietà del Vaticano, come richiesto in Parlamento da un emendamento di Repubblicani e Radicali; nel rammentare che nulla è scritto nel Concordato per quanto concerne il servizio afferente le acque reflue, bianche e nere; nel sollecitare il governo affinché provveda a far pagare la fornitura idrica dell’ACEA e l’onere finanziario a carico dello Stato italiano.
  5. Federalismo fiscale. Non sono più rinunciabili conoscenze quantitative certe dei benefici del decentramento fiscale.
  6. Riforma delle professioni. Primo, occorre introdurre un divieto generalizzato di prevedere, raccomandare o suggerire onorari professionali, sia stabilendo valori delle prestazioni sia regolando la formula di compenso su cui le parti trovano un accordo. Questo vorrebbe dire l’eliminazione di minimi e massimi tariffari e la possibilità di stipulare un patto di quota lite, che parametra l’onorario ad una percentuale di quanto spetta al cliente a seguito della conclusione del contenzioso. Il patto di quota-lite garantisce l’accesso alla giustizia (tributaria o civile) ai meno abbienti in quanto può basarsi sulla formula "no-win, no-pay". L’antidoto a una proliferazione delle cause e dei ricorsi consiste nel fatto che il professionista difficilmente accetterà un incarico con scarse possibilità di successo in quanto verrebbe a rimetterci tempo e denaro. Secondo, l’accesso alle professioni deve attenersi al principio che la laurea è sufficiente al loro esercizio, salvo eccezioni per particolari professioni. Bisogna escludere il numero chiuso e ridurre il periodo di tirocinio. Terzo, deve essere ammissibile ogni forma di società multidisciplinare nonché le società di capitali a responsabilità limitata. La regolamentazione non dovrebbe essere diversa da quella delle normali società commerciali. I professionisti italiani hanno il diritto di aggregarsi e il diritto di reperire i capitali che consentano loro di crescere, e fronteggiare le sfide competitive globali per i quali essi non sono oggi attrezzati.
  7. Ricerca e innovazione, motore della crescita. Nel nostro paese prevale una economia di trasformazione di materie prime di importazione. Il punto cruciale è essere capaci di creare e di immettere un elevato contenuto tecnologico. Il che significa essere parte di un sistema nel quale a cominciare dalle scuole elementari per finire con i politecnici si cura lo sviluppo scientifico tecnologico, la ricerca, la formazione, la cura dei talenti, l’innovazione, poi l’industria, ecc. Fino agli anni ’60 avevamo la leadership in una serie di importantissimi comparti tecnologici. Il ’68 diffuse in Italia e consolidò una cultura pauperistica ed antindustriale. Come percentuale di personale di ricerca in rapporto alla forza lavoro, l’Italia è tra gli ultimi paesi al modo, il che significa che stiamo trascurando le radici della competitività e quindi della crescita. Il Pri chiede che il governo introduca nella manovra un sostegno significativo su questo aspetto.
  8. Contributo di solidarietà, patrimoniale, aumento dell’Iva. Le politiche fin qui esposte ricalcano il duplice binario di stabilizzazione finanziaria e motore di sviluppo. È evidente che se esse fossero realizzate in tempi tecnici minimi indispensabili e nella misura qui proposta, le risorse recuperate sarebbero molto ingenti e consentirebbero di evitare il ricorso a una fonte finanziaria "a saldo", quale quella concepita nella manovra con il cosiddetto contributo di solidarietà, o come la patrimoniale proposta ormai da un numero crescente di forze politiche e osservatori, o come la cessione di beni demaniali, rispetto alle quali il Pri è fortemente critico perché tutte queste soluzioni hanno due vizi di fondo: sono amputazioni chirurgiche straordinarie e non ripetitive troppe volte; non curano la bulimia della spesa pubblica.
  9. Privatizzazioni. Diverso è naturalmente il caso delle privatizzazioni, per le quali il Pri è da oltre vent’anni favorevole. Si dovrebbe cominciare con Finmeccanica, Poste, Fincantieri. Sulla tempistica per le Poste occorrerebbe fare comunque molta attenzione, per evitare di ripetere alcuni gravi errori commessi in passato, quando fu ceduto a privati il controllo societario di servizi e reti pubbliche in monopolio senza una previa liberalizzazione, con assurdi e inarrestati arricchimenti da parte dei privati.

Roma, 23 agosto 2011